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L'importanza della famiglia

Il matrimonio è la base su cui si fonda la famiglia.
Matrimonio che oggi è sempre più in crisi, ma che è il vero aspetto da cui è necessario ripartire: solamente se si tornerà ad una vera unità tra uomo e donna, uniti in matrimonio, sarà possibile contrastare l'inverno demografico nel quale la civiltà occidentale è immersa e sarà altresì possibile fornire un valido antidoto all'"emergenza educativa" che segna i bambini e i giovani di oggi, troppo spesso vittime incolpevoli di famiglie separate nonché sempre più privi di adulti che fungano da maestri di vita.

Il matrimonio nel mondo antico

Se andiamo indietro nel tempo, prima di Cristo, in Etruria, ad Atene, a Roma, a Gerusalemme, ovunque... sono sempre l’uomo e la donna a costituire la famiglia, cioè, secondo l’espressione di Cicerone, il “principium urbis et quasi seminarium reipublicae” (“la cellula dell’organizzazione sociale e seminario, diremo quasi vivaio, della nazione”). Senza unione tra uomo e donna, del resto, l’umanità non esisterebbe neppure. Osserviamo la Roma pagana. Qui il fidanzamento avviene con una cerimonia ufficiale e lo scambio di un anello (messo nell’anulare, perché, secondo Aulo Gellio, esisterebbe “un nervo molto sottile, che parte dall’anulare e arriva al cuore”).
Nell’antica Roma il matrimonio è una cerimonia solenne, contrassegnata da una sorta di comunione davanti a un altare, su cui viene offerto a Giove un pane di farro. Inoltre, vi è il sacrificio di un animale, di cui vengono lette, da un aruspice, le interiora. Una donna, sposata una sola volta, unisce le mani degli sposi, di fronte ai sacerdoti e a dei testimoni, a dimostrazione della funzione anche sociale del matrimonio. Il tutto, almeno in età repubblicana, in modo solenne, per rendere visibile l’importanza del gesto. Verso la fine dell’età repubblicana il matrimonio romano entra in crisi: è il preludio di una più vasta disgregazione sociale, generata dalla fragilità delle famiglie e dal conseguente decremento demografico, cause remote, entrambe, della dissoluzione di Roma. Una volta che Roma abbandona il paganesimo, il rituale nuziale romano viene in sostanza conservato nell’uso cristiano, salvo l’aruspicina, cioè il sacrificio di animali con annessa lettura del futuro. E benché muti in parte il modo di intendere il rapporto tra uomo e donna (con introduzione dell’indissolubilità matrimoniale e dell’idea della libertà degli sposi), rimane chiaro a tutti, secondo il detto di Modestino (III sec. d. C.), che “Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae, consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio” (“le nozze sono l’unione di un uomo e di una donna, il consorzio di una vita, la comunione fra diritto divino e quello umano”).
Anche nella Grecia antica il matrimonio è sempre solo e soltanto tra uomo e donna. Neppure qui esiste l’indissolubilità, ma l’idea che la fedeltà sia ideale e auspicabile è ben presente.

Il matrimonio cristiano

In ottica cristiana il matrimonio assume una valenza ancora maggiore: “Gesù ha infatti elevato l’unione tra un uomo e una donna, già inscritta nella legge di natura, alla dignità di sacramento, ovvero di segno visibile dell’amore di Gesù verso la Chiesa e del mistero dell’amore trinitario finalizzato alla mutua unione e alla trasmissione della vita naturale.
I ministri del sacramento sono gli sposi (non il sacerdote, di cui si dice che ‘assiste alle nozze’). La forma sono le parole del consenso matrimoniale (‘Io, N., accolgo te, N., come mio sposo/a. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita’). La materia sono un individuo di sesso maschile ed uno di sesso femminile, celibe e nubile, battezzati e cresimati. Effetto del sacramento del matrimonio è la grazia necessaria ad assumersi gli impegni e la missione della vocazione al matrimonio, ossia: mantenere l’unità e la fedeltà, amarsi ed onorarsi incondizionatamente vicendevolmente, procreare ed educare cristianamente i figli” [1].
Il matrimonio cristiano ha, quale aspetto specifico, l’indissolubilità. Questo principio, nella sua apparente durezza, è il bastone offerto alla nostra fragilità, per tenerci in piedi anche quando staremmo per cadere. È il no che dobbiamo dirci, quando giungono lo scoraggiamento, l’ira, la passione cieca. Devi, perché puoi. È nella nostra natura la durata dell’amore: farlo crescere, coltivarlo, vivificarlo ogni giorno.
A uno sguardo disattento e succube del pensiero liquido caratteristico della nostra società, l’indissolubilità sembra solamente un divieto; invece essa è una proposta fantastica, che va incontro all’uomo: amare per sempre si può!

La famiglia

La famiglia si fonda su un’unione stabile e pubblicamente riconosciuta tra un uomo e una donna che, in virtù del matrimonio, si assumono impegni reciproci e nei confronti dei figli.
La famiglia è dunque da sempre il luogo in cui si nasce; è da sempre il luogo in cui il bambino vive un’ampiezza straordinaria di esperienze: lui, piccolo, in mezzo ai grandi, impara il dialogo tra generazioni; da padre e madre apprende la complementarietà dei sessi; in mezzo ai fratelli, più o meno coetanei, impara la convivenza con gli eguali. In una sola famiglia ci sono tutti i generi, tutte le età, tutti i ruoli. Non vi è scuola di vita, di virtù, di generosità, di relazioni migliore di questa.
La famiglia è luogo di sacrificio, abnegazione, fatica; ma anche di gioia, serenità, forza, amore, solidità, fiducia...

L’importanza e la bellezza di educare

“I figli si fanno nascere due volte, la prima nel momento in cui si concepiscono e la seconda quando si educano. In entrambi i casi ci si accorge che non tutto è in potere dei genitori: così come il concepimento porta alla luce un essere che va oltre la sua materialità, allo stesso modo l’educazione conduce al pieno splendore ciò che appare confuso tra istinti e passioni. Che i bambini, cioè tutti noi, nascano non esattamente come ‘angioletti’ ce lo conferma S. Agostino che, parlando di se stesso bambino, si limita ad attestare un fatto: ‘Se non ero accontentato, o per non essermi fatto intendere, o per il danno che ne avrei avuto, mi stizzivo e mi vendicavo strillando contro persone maggiori di me che non si piegavano alla mia volontà, e persona libere che non mi si facevano schiave. Tale è la natura dei bambini’.
Abbiamo chiamato in causa S. Agostino, ma ho qui davanti agli occhi la scena di mio figlio di due anni che, non appena intravede la macchinina nuova nella mani del suo “collega”, sfodera un impensato ‘sguardo da tigre’: ‘La voglio, me la prendo!’.
Questa è la brace che cova sotto la cenere nel cuore di ogni uomo, una voglia di mettersi al centro del mondo infischiandosene di tutto ciò che sta attorno. Insomma, per educare c’è lavoro da fare, innanzitutto insegnare che c’è la brace e che bisogna evitare di buttarci materiale infiammabile, altrimenti l’incendio è difficile domarlo, anche perché caserme dei pompieri in giro che ne sono sempre meno” [2].

Riferimenti:

1. Don Leonardo M. Pompei, Sacramentum Magnum, p. 12.
2. Lorenzo Bertocchi, Dio & Famiglia – Analisi di una dissoluzione, Fede&Cultura, p. 93.

Data di pubblicazione: sabato 11 aprile 2015
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